da, ” VITA “, 20 maggio 1972
Oggi anche l’arte, come tutte le altre professioni, è specializzazione, e l’artista non ha più il diritto di vivere e operare in clima di “genio e sregolatezza”, nel disordine, nel pittoresco, di “eccitarsi nell’arte” insomma, a contatto con l’anormale, lo strano, l’eccentrico. Oggi il vero e grande artista è proprio colui che sa mimetizzarsi nel gran calderone della vita borghese, o piccolo, medio borghese che sia, di nascondersi, di lavorare con costanza e serietà proprio al fine di raggiungere, con l’esercizio e la pazienza, nuovi risultati, nuove tecniche. Oggi anche in arte occorre saper scegliere e saper trovare, e la tecnica acquista un suo valore primo, il valore della perfezione in una società che tende sempre di più al pressappochismo e alla confusione delle idee.
Afro, in questo senso, è un aristocratico non per nascita o per modo di vita, un uomo che sente la sua vocazione di artista come un fatto di “elite”, di nobiltà dello spirito, e crede che questo dono (come un fiore troppo delicato per stare all’aria e al vento) debba essere cullato, riverito, stimolato, perfezionato appunto: una dote artistica che non deve andare sprecata o dissolta nel vari circoli perditempo, o bar alla moda, o premi e giurie, o dichiarazioni di qua e di là (c’è tutta una fauna di letterati e artisti che trascorrono cosi’ la loro giornata).
Afro la mattina di buon’ora puoi già trovarlo nel suo studio ai Parioli, dove tutto è in ordine, catalogato, pulito; uno studio da ingegnere, da fisico nucleare .
Il friulano Afro è cortese, con un sorriso aperto, d’immediata simpatia, il volto asciutto, sempre abbronzato, che fa contrasto con la folta chioma bianco argento. E’ un pittore astratto, ma le sue costruzioni astratte, le sue scansioni spaziali, i chiari, i scuri, i vuoti, i pieni, armonie che il profano potrebbe credere casuali, estemporanee, sono invece figurazioni meditate, a lungo, a tavolino, in abbozzi, schizzi, e poi riportate sulle tele (generalmente Afro affronta tele di grande dimensione).
Un quadro esce dall’atelier di Afro soltanto quando il suo autore è più che soddisfatto, e allora quella gamma di colori (un gioco di tonalità combinate sotto il segno dell’umore, della variabile psicologica) si modula come una musica di pochi strumenti, una musica di colore che si può sapientemente afferrare solo dopo aver cercato di capire quale arte nuova, quale nuovo linguaggio cerchi Afro. Poi, mano a mano, come le cose più segrete che sembrano sulle prime inafferrabili e chiuse nel loro astruso significato, le forme di Afro si aprono, si concedono alla sensibilità, alla gioia, alla partecipazione dello spettatore, che ha la coscienza di entrare in un mondo inedito di forme e colori, di muoversi in un paesaggio sempre nuovo e inventato, stupefatto e stupefacente, creato dalla fantasia di un grande e originale pittore del nostro tempo.
“Spesso penso di me stesso come di un pittore che racconta delle storie. Se i miei sentimenti più nascosti, i miei ricordi, le mie opinioni, le mie intolleranze, i miei errori e i miei terrori, possono essere condensati nel tracciato di una linea o nella qualità luminosa di un tono, il misterioso flusso del mio intero essere nella pittura potrebbe essere volontariamente rovesciato così che tutte le mie immagini potrebbero risalire alle origini della mia vita. Perciò non evito le parole sogno, emozione, lirica, che oggi sono rifiutate da coloro che preferiscono chiarezza intellettuale e coscienza dei mezzi adoperati nella pittura contemporanea”.
Questo scriveva Afro di sé e della sua pittura nel lontano 1955, e fa piacere rileggerlo oggi, in un momento in cui, in pittura, si parla solo, o quasi, d’impegno sociale e di struttura ideologica, una pittura che vuol essere insomma intellettuale, politica, a tutti i costi, raccontare, contestare, illustrare in un modo ben diverso dal realismo cosiddetto realista di qualche anno fa; oggi i giovani, servendosi pressoché esclusivamente anche della fotografia proiettata sulla tela, fanno della metafisica-politica, qualcosa cioè di più cerebrale di più snobistico, di più velleitario, in una formula che poi livella un pittore all’altro.
Quindi questa emozione, questo sogno, questa lirica, di Afro, questa pittura per la pittura, questa gioia degli occhi ben venga a riproporci (caso mai abbia bisogno d’essere riproposto il nome internazionalmente noto di Afro) il senso puro e vero della vita, nei nostri più imprevisti e inconsci accadimenti spirituali. Quando vedo un quadro di Afro vado col pensiero alle parole di un grande poeta romantico spagnolo del nostro tempo, Pedro Salinas: “la poesia è un’avventura verso l’assoluto. Si arriva più o meno vicino, si fa più o meno strada,
ecco tutto. Bisogna lasciar correre l’avventura, con tutta la bellezza del rischio, della probabilità, del gioco”. Sostituite a poesia il termine pittura e vedrete come ciò s’attagli perfettamente all’opera di Afro. L’uomo, il personaggio Afro, è sempre stato appartato, ma in questi ultimi tempi è ancora chiuso, più meditativo nella sua bella casa ai Parioli, dove legge, studia e lavora, cosciente com’è che la pittura, è grazia, è lirica, certo, ma anche impegno quotidiano, ricerca, lavoro, cioè un atteggiamento morale, di consistenza e probità.
Ma sentiamo cosa scrive di lui il noto critico James J. Sweeney: “Un quadro di Afro non è una rappresentazione, ma una celebrazione festosa. Vedere: potremmo affermare che la vita intera si fonda su questo verbo…. – Sono parole di Pierre Teilhard de Chardin – se non nel suo fine almeno nella sua essenza…. Vedere o perire è la condizione imposta ad ogni cosa dell’universo, a dar motivo del misterioso dono dell’esistere. In misura superiore è anche la condizione umana. Tutti i veri quadri, certamente esemplificano questo dato di fatto – dice ancora Sweeney – ma la condizione essenziale per la visione è la luce, ecco perché i quadri di Afro in particolare appaiono celebrazioni del vedere e non semplici documenti di visione. Fuoco, aria e spontaneità ne sono gli elementi…. Afro, d’altronde, prova raramente la tentazione di oscurare i suoi cieli, lo spirito fondamentale della sua arte è gioioso. Se un accento inquieto si insinua talvolta nella sua tavolozza, Afro non ne fa scaturire una nota tragica. La sua espressione naturale è talmente piena d’amore per la vita da non permettere al minimo accenno di turbamento, per quanto presente e reale, di manifestarsi in quel linguaggio di gioia e gaiezza, nel linguaggio o canto, che più gli corrisponde”
Franco Simongini